Indie Cap.1 … il resto a fine Novembre
“Mi chiamo Indie, e questo già è un problema. Da quando ho deciso di essere indipendente le cose si sono sempre complicate, non hanno mai trovato un appiglio, un momento di giudizio reale. Tutto si è basato sempre e comunque su sogni. Tutto su delle piccole, a volte grandi nuvole che mi hanno caratterizzato finora” Le nuvole su cui Indie cammina, si dice che finiscano sempre con fargli scalciare qualcosa. “Proprio perché penso e perché guardo in aria. Le nuvole appunto. Guardo le nuvole. Si sono indipendente e guardo le nuvole.
Trascino il mio sacco e lo porto allo spettacolo. The show must go on. Così come i sogni “must go on”. Qualcuno direbbe che ho comprato la chitarra per punire qualcuno, ma l’ho fatto solo perché avevo un’urgenza. Si mi piace chiamarla così. Urgenza e non esigenza. Quando suono lo devo fare altrimenti mi suono addosso. Non c’è nessun altro motivo. L’urgenza è fisiologica, l’esigenza è contestuale. Sono un musicante indipendente. Un musicista blaterante per cui un musicante. Suono il silenzio e non canto, suono la natura e me la godo. Suono la materia, gli elementi. Avverto l’infinito addosso e me ne vanto. Mi scrollo di dosso i problemi solo quando sono con quell’arnese infernale, la chitarra. Si dice che sia l’unica donna in grado di non tradirti, ma è pur vero che le corde si rompono ed anche spesso. Suono la vita, ma chi sono io per poterla descrivere? Sono solo indie e non so fare altro. Sono solo uno che agita la mano destra mentre la sinistra pigia dei tasti. Lo faccio solo perché ne sento un fottuto bisogno. Lo faccio perché voglio lasciare traccia della mia esistenza e per “testimoniare il genio del momento in cui eseguo qualcosa”. L’attimo irripetibile in cui il suono si manifesta. L’attimo irripetibile in cui il cervello ti comunica che è ora di partorire quella cosa che è ormai troppo pesante da portare addosso, troppo leggera per farla volare. Quella cosa è a metà strada tra essere tua e del mondo intero. Quella cosa che parte da dentro e si materializza nelle tue mani, fa vibrare una corda e si diffonde nell’aria e per questo la respiri insieme all’ossigeno. Esso se ne arricchisce ed arricchisce anche te, ignaro di respirare una cosa diversa ogni santa volta che il rito si ripete:respiro, urgenza, cervello, mano, corda, aria, respiro. La magnificenza del cerchio, della ripetizione dell’impossibilità di trovarne una quadratura. Sono indipendente e me ne vanto come una signorina che mostra per la prima volta i tacchi all’umanità intera. Come una donna al suo matrimonio mostro il mio vestito bianco dell’indipendenza, la mia meringa appetitosa della non sudditanza. Mostro al mondo intero che il mio suono non è figlio di nessuno, mostro al mondo intero che le mie corde sono mie e che la mia musica non sarà mai frutto di un contratto. Sono Indie io, non tu. Sono indie io che abbasso il volume per non disturbarti quando dormi e lo alzo per disturbarti per lo stesso motivo. Il nome me lo sono dato da solo perché sono Indie. Ma chi ero prima? chi sarò poi? ”
Indie iniziò il suo spettacolo così. Il “Fall Festival” era stato finalmente inaugurato e voleva necessariamente essere il primo a parlare. Aveva partorito questa idea principalmente per riuscire a spiegare alle persone che c’è dell’altro nel mondo. Che la musica non può sempre essere la stessa e che il modo migliore per spiegarlo era entrare in prima persona sul palco e dire tutto quello che sentiva fosse giusto. Il “Fall Festival” era il festival che aveva sempre sognato. Il momento per poter percorrere tutta la sua vita artistica a ritroso per poterla rivivere ancora. “Non cambierei nulla di quello che ho fatto” diceva in continuazione a tutti quelli che lo conoscevano. Ma nulla poteva cambiare.
Il circolo che ospitava il festival era il punto di riferimento di ogni musicista della zona. Tutti in qualche modo erano passati di là. Si chiamava “Mumble Rumble” e rappresentava letteralmente il “Pensiero Azione” della comunità intera della zona orientale della città. Anni ed anni per capire come pronunciare le due parole, ma alla fine tutti lo chiamano il “circolo”.
Il circolo era tutto per i musicisti, era il posto dove discutere, studiare, sfidarsi. Era il posto dove le idee circolavano gratis ed era molto difficile farle passare oltre il confine del centro cittadino. Le idee si sa sono scomode oggi come allora. Il “circolo” partendo da una cultura jazz/blues era riuscito a creare situazioni straordinarie, musicisti di ogni tipo, razza, cultura ed ispirazione. Il circolo aveva creato dei mostri per la città. Il circolo era la città dal punto di vista artistico. Di conseguenza la zona orientale della città era a tutti gli effetti la zona orientale del circolo.
Indie continuava il suo show trascinando un sacco strapieno di cd di musica indipendente. Una quantità di cd senza copertina, masterizzati a 300x recanti nomi di gruppi sconosciuti che sarebbero molto probabilmente rimasti tali per sempre. “Sapete cosa sono questi?”, la platea non rispose. Dunque tuonò più forte: “Sapete COSA SONO QUESTI?”, e la platea: “sono cd?”. Qualcuno disse “regali di natale?”, altri “caramelle?” e le solite risatine inutili. “Sono sogni!” Questo è un sacco di sogni. Pensavate che sognare fosse gratis? Invece no miei cari! Sognare costa caro”. L’uomo che suonava le nuvole si stava avvicinando alla terra pian pianino. Mentre recitava il discorso ripetuto migliaia di volte nella sua testa nelle notti insonni, stava cercando di toccare terra. Si stava avvicinando ad una cosa reale: il costo dei sogni.
Quanto era costato il “circolo”? Il circolo era stato occupato. Era una palestra, sporca. Sporca ed abbandonata. Il circolo non era più di nessuno quando fu occupato. Ora era solo di chi lo occupava. Ma il circolo era la città e chi abitava la città abitava il circolo. Una fusione perfetta tra cultura e civiltà. Gli unici rapporti che continuavano ad esistere erano semplicemente quelli creati con le jam session. E se qualche volta queste venivano registrate avevano il senso dell’eternità. Si perché la musica sfugge, le improvvisazioni sono attimi di vita reale. Le improvvisazioni sono come le nuvole, hanno quell’aspetto solo per un istante e niente più. La musica scappa da chi a crea, la musica non riusciva ad essere intrappolata nella città e quindi nel circolo.
“Migliaia di euro” tuonò “per ogni sogno. E quanti di questi restano irrealizzati? Tutti? Beh quasi ..” Quanti sogni sprecati, quanta musica prodotta ed abbandonata. Quanti racconti, quanta realtà consumata e buttata via come se fosse spazzatura. Certo non tutto è arte, non tutto è un capolavoro, ma non è di “bellezza” o di “prodotto” che stiamo parlando, ma di urgenze. “quasi tutti questi cd sono delle letterine a Babbo Natale, sono delle richieste di aiuto”. Indie sottolineava con forza che ogni singola nota suonata è figlia di un grido di passione, è figlia di un desiderio di uscire, di volare, di smaterializzarsi nell’aria. Sottolineava con forza che non tutti potevano capire quella sensazione se non avessero almeno per una volta suonato qualcosa. Non tutti potevano parlare di urgenza senza almeno una volta aver provato la sensazione del legno sotto le mani, delle corde che ti tagliano i polpastrelli. “Almeno per una volta, ognuno di voi che è seduto qui stasera, ha suonato qualcosa ed ha avvertito quel qualcosa, quel senso di ‘nulla e tutto insieme’, quella sensazione di micro e macro, di ora e mai più. Almeno per una volta hai pensato”, rivolgendosi ad un ragazzo grassoccio, rossastro in viso ed in testa, “che suonare era come fare l’amore con te stesso e te ne sei vergognato, è vero rosso?”. Questo piccolo avvicinamento alla realtà scatenò un sussulto nella platea che applaudì sorridendo ed aumentando inesorabilmente il livello di rossore del ragazzo. “E poi quando vi siete resi conto che tutto questo suonarvi addosso non vi basta più pensate a produrre qualcosa, e cercate di venderlo, di renderlo pubblico. Chi vi ascolterà? Chi comprerà le vostre masturbazioni? Chi comprerà le vostre nuvole, i vostri sogni? Ve lo siete chiesto? Conviene fare un disco di musica indipendente?”. La domanda ovviamente non trovò risposta nella platea. Molti dei presenti volevano suonare dal vivo. Qualcuno aveva detto che l’unico modo per vendere dischi era suonare dal vivo.
Il circolo aveva una sala concerti di tutto rispetto. Un impianto da 500W perfettamente funzionante. Un mixer 32 canali con un suono cristallino e definito. Degno dei migliori locali europei e dei migliori fonici affermati. Non era certo questo che spingeva le persone a suonare al circolo, ma quell’atmosfera che da sempre è riuscito a regalare ai suoi ospiti. Un’atmosfera elettrica, carica e frizzante. Un’atmosfera ispiratrice e complice di grosse creazioni a volte lasciate volare via nel nulla.
“Non fate volar via la vostra creatività vendendola a chi fa del vostro lavoro e delle vostre creazioni uno schifo di prodotto”, e la sua voce veniva catturata dalla fonoassorbenza dei materiali nuovi appena installati. “Non rendete vana una vostra folle creazione. Si folle, perchè solo dei folli possono pensare di scrivere un brano. Solo dei folli ne possono avere la voglia e l’urgenza”. Urgenza, ancora questa parola. Gli piaceva e la ripeteva in continuazione come un mantra. Forse lo faceva per ricordarsela per sempre. “MA ricordatevi che anche i folli studiano. Anche i folli hanno bisogno di dare un pò di disciplina alle loro follie”.
Il circolo aveva una scuola di musica di tutto rispetto. Professionale e sociale. La musica per tutti e tutti per la musica. La sala dove una volta si tenevano le lezioni di chitarra era tappezzata di amplificatori. Un vecchio Roland, che poi ha guadagnato il posto d’onore sul palco, di coloro grigio metallizzato regnava sovrano da circa 20 anni. Ci hanno suonato un pò tutti, bassisti e chitarristi. Bravi, talentuosi e negati (o cani come si osava dire). Sì, in realtà ogni musicista del circolo aveva la sua nomea. Ogni musicista aveva la sua etichetta. Esistevano così gli intoccabili e quelli che potevano essere derisi. Tutto dipendeva da quello che avevi dimostrato al “crocicchio”. Tutto dipendeva da quello che sapevi fare nel campo del blues e del jazz. Il resto, almeno per i primi tempi, era eresia.
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